RISTORATORI E DISTRIBUTORI?

Siamo facce della stessa medaglia

Di Paolo Andreatta

Paolo Bianchini, fondatore di mio,  non ha dubbi: «ai distributori  dobbiamo dire grazie. Oggi è necessario unire  il comparto, mirando  a un ccn per l’intera  filiera»

MOVIMENTO IMPRESE OSPITALITA’ ITALIA

L’associazione nazionale M.I.O. Italia riunisce ristoratori e imprese che operano nel settore Horeca, Ospitalità e Turismo. Autonoma, apartitica e indipendente, contribuisce all’affermazione di un sistema imprenditoriale più consapevole, più innovativo, lavorando sull’unione di tutta la filiera.

Con Rete Impresa Distribuzione Horeca ha siglato una partnership importante.

Nata in pieno lockdown, a marzo 2020, M.I.O. Italia – Movimento Imprese Ospitalità è frutto di una riflessione virtuosa e inevitabile: il comparto Horeca italiano sconta il prezzo di nodi di lunga data, oggi non più sostenibili. La pandemia ne ha drammaticamente scoperchiato criticità e anacronismi.

«La necessità primaria oggi è unire la filiera – spiega Paolo Bianchini, fondatore di M.I.O. Italia, che con Rete Impresa Distribuzione Horeca ha siglato una partnership importante. – Una filiera che è fatta da ristoratori, albergatori e da tutti i protagonisti del settore dell’ospitalità. È necessario parlare con una sola voce e avere consapevolezza collettiva di quello che stiamo vivendo come sistema Italia».

Distributori compresi?

«Distributori compresi, assolutamente. Siamo facce di una stessa medaglia, parti di uno stesso ingranaggio. Dirò di più. Al mondo dei grossisti noi dobbiamo dire grazie. Spesso i grossisti ci hanno fatto da banca. Soprattutto dopo il primo lockdown, si sono sostituiti alle banche. Ci hanno permesso di fare dei piani di rientro importanti, in un momento in cui essendo chiusi e non incassando eravamo in completo stand by, aiutandoci a ripartire».

L’obiettivo è quello di creare un’unione di tutta la filiera. Eppure le esigenze sono spesso molto diverse?

«Unire l’intera filiera è una necessità primaria. Oggi vince non chi fa meglio del vicino ma chi con il vicino ci parla e fa massa critica. Certo, le peculiarità del mondo della ristorazione e di quello distributivo sono senz’altro diverse. Ma è cruciale generare una massa critica di settore che si faccia motore di ripresa per una filiera che, pre Covid, cubava il 13% del PIL con 1,3 milioni di addetti».

Concretamente su quali azioni si può lavorare?

«Prendiamo per esempio la modifica dell’aliquota Iva per la cessione dei beni e dei servizi. Se si applicasse quella del 5 invece che del 10 si genererebbe un 5% di margine in più immediato che permetterebbe di sbloccare pagamenti ai nostri fornitori.  Sarebbe una leva immediata.

O ancora, un incentivo per favorire l’efficientamento delle consegne, l’automatizzazione dei magazzini o il rinnovamento del parco mezzi della distribuzione, favorendo furgoncini elettrici a basso consumo che si muovano liberamente

nei centri, favorirebbe il settore distributivo, creerebbe valore ecosostenibile e si rifletterebbe su di noi in termini di prezzi minori a fronte di costi e oneri minori dei distributori stessi».

In altre parole, temi diversi ma con finalità convergenti

«Esatto. Sono esempi di come le peculiarità ed esigenze sono diverse ma in realtà sommandole vanno a convergere a vantaggio di tutto il comparto, che è uno e unico. Il rischio è che arrivino presto le multinazionali e comprino le poche aziende che saranno in grado di sopravvivere, come già successo in passato.

O peggio il rischio è arrivare a una situazione di monopolio, con aumenti di prezzo che si riverberano in negativo a valle della filiera».

Qual è il primo passo?

«Stiamo portando avanti una trattativa di primo e secondo livello con il sindacato nazionale per la sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale che unisca titolari d’impresa e dipendenti.

E che abbracci tutte le professionalità dell’ospitalità. Di cui i distributori sono un tassello fondamentale. Non esiste distribuzione senza ristorazione e non esiste ristorazione senza distribuzione.

È necessario avere una comunione di intenti, parlare con una sola voce. Questo non può che darci forza come comparto, con l’energia necessaria per far sentire i nostri bisogni a una politica che stenta a capire un settore di cui sono spesso estranei».

Una condizione fragile, quella del settore Horeca italiano, che oggi ha bisogno di risposte rapide dalla politica

«Abbiamo iniziato la nostra avventura nel marzo del 2020. Siamo giovani, ma in due anni abbiamo fatto tanto, portando avanti una serie di operazioni sia dal punto di vista mediatico, per tenere alta l’attenzione sulle reali necessità del nostro settore, sia dal punto di vista di palazzo, per agire concretamente nei luoghi decisionali. La rappresentatività del nostro settore è oggi ancora carente, purtroppo. È fondamentale far sentire la nostra voce e farlo in maniera coesa».

Due concetti a voi cari sono “formazione” e “fiducia”

«Come M.I.O. puntiamo molto sulla formazione, oggi decisiva. Per quanto riguarda la fiducia, è un tema sul quale urge lavorare per far ripartire i consumi fuoricasa, legati alla fruizione di cinema e teatri, nonché agli enti locali, attualmente in sofferenza per il mancato incasso delle addizionali. Il +6,5% di PIL di cui oggi si parla rischia, altrimenti, di essere solo un rimbalzo fisiologico rispetto al -9,6% del 2022».

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