Ritrovare se stessi nell’era della Busyness
Vi è mai capitato di sentire la necessità di avere l’agenda completamente occupata, di fissare appuntamenti uno dietro l’altro senza lasciare un momento per voi e, quando vi capita finalmente di avere un’oretta di riposo, di sentirvi in colpa perché non siete produttivi? Vi capita di parlare spesso di lavoro anche nel tempo libero? Se la risposta è sì, allora anche voi potreste essere “vittime” del fenomeno della “Busyness”.
DI COSA SI TRATTA?
Parliamo di un concetto introdotto nel 2005 dal sociologo Jonathan Gershuny e poi approfondito da diversi autori nel corso degli anni. In questo articolo intendiamo il fenomeno come uno stile di vita sovraccarico di lavoro e povero di tempo libero, come descritto nel 2017 dal gruppo di lavoro della professoressa di marketing alla Columbia Business School Silvia Bellezza, ma anche l’esaltazione di questo da parte della società. Purtroppo, sono numerose le culture aziendali che premiano i dipendenti utilizzando come criterio di valutazione solamente le ore passate sul posto di lavoro, piuttosto che l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di performance e soprattutto la qualità del lavoro stesso. Oltre alle aziende che esaltano questa modalità, l’effetto della cultura “busy” si vede anche nelle persone: è una questione di status symbol, dell’aumento di autostima che deriva dal sentirsi perennemente impegnati, gratificandoci più che avere del tempo da dedicare a noi stessi. “Scusa devo lavorare”, “Non posso, devo fermarmi qualche ora in più al lavoro, siamo pieni di clienti!” Sembra quasi che frasi di questo tipo intrinsecamente esaltino la nostra immagine agli occhi degli altri, facendoci percepire come più importanti e potenti ai loro occhi. Viviamo in una società in cui il carico di lavoro e la mancanza di tempo per se stessi elevano la propria posizione sociale.
UN MECCANISMO DI DIFESA
Questo circolo vizioso porta, però, a non avere effettivamente tempo per sé, o comunque a non saperlo apprezzare, sviluppando come possibile conseguenza sintomi da stress e, in alcuni casi, burnout. Non è però così semplice rendersi conto della propria situazione, anche perché avere la mente sempre occupata dal lavoro ci permette di non pensare ai nostri sentimenti e ai nostri stati emotivi, essendo costantemente distratti dalle attività. Diventa una sorta di meccanismo di difesa, che ci allontana sempre di più dall’ascolto del nostro corpo e dei nostri bisogni. Oltre questo, strutturare la propria vita focalizzandosi totalmente sul lavoro spesso diventa un meccanismo per “non fare i conti” con le eventuali difficoltà della propria vita personale. Ma siamo sicuri che questa strategia sia sostenibile nel lungo termine?
FOCUS SUL MONDO DEL LAVORO
Facendo un focus sul mondo del lavoro, siamo sicuri che questo stile sia positivo e generativo almeno per la nostra azienda? Secondo l’articolo dello psicologo Adam Waytz (presente nel numero di aprile della rivista di management “Harvard Business Review”), dedicato al tema, quando le organizzazioni sovraccaricano le proprie risorse e correlano gli incentivi alla quantità di tempo dedicato al lavoro, la produttività e l’efficienza diminuiscono. La pressione e la quantità di compiti da svolgere, infatti, potrebbero portare i dipendenti alla riduzione del coinvolgimento, all’aumento dell’assenteismo e all’esaurimento.
SOLUZIONI POSSIBILI
Cosa possiamo fare nel concreto per uscire da queste logiche? Possiamo provare a focalizzarci sulle attività davvero essenziali, importanti e urgenti; dare priorità alla qualità del lavoro che svolgiamo, piuttosto che alla quantità di attività concluse, e concentrarci sul raggiungere gli obiettivi, piuttosto che sull’essere sempre impegnati. Un passo più difficile ma altrettanto importante è quello di sviluppare consapevolezza su noi stessi, partendo dall’ascolto del nostro corpo e dei segnali che ci manda in caso di affaticamento. Possiamo fare attenzione ad alcuni sintomi fisici, come mal di testa, mal di stomaco, tensione muscolare; sintomi psicologici, come confusione, frustrazione cambiamenti d’umore; infine, sintomi comportamentali, come aumento dell’utilizzo di alcol, o farmaci. Se ci rendiamo conto che stiamo sperimentando alcuni di questi sintomi, possiamo provare qualche tecnica di gestione dello stress: prendersi del tempo per vedere un amico, dedicarsi alla propria famiglia, svolgere un’attività fisica piacevole, provare una pratica di meditazione guidata. Ci sono davvero molte strategie che possono migliorare il nostro benessere, è bene provarne il più possibile per trovare quella più funzionale e mettersi in gioco. Ricordiamoci comunque che non è mai da escludere l’aiuto di un professionista psicologo o psicoterapeuta; un valido supporto nel viaggio alla ricerca del benessere personale.
IMPARARE A “STACCARE”
Infine, per uscire dalle logiche della Busyness, potrebbe essere utile entrare nell’ottica che “staccare” fa bene sia a noi stessi, sia al nostro lavoro: ritagliarci dei momenti di inattività potrebbe avere riscontri inaspettati. Infatti, le pause ci aiutano a riflettere e stimolano la nascita di idee nuove e creative, proprio perché ci fanno allontanare dall’impasse che a volte si crea quando si ha un focus costante su un compito. Di conseguenza…non facciamoci spaventare dai momenti di noia, questi potrebbero rivelarsi molto più “produttivi” del previsto!
*Dario Bussolin
Manager della divisione Human Capital del gruppo Aegis Human Consulting Group, Psicologo e Psicoterapeuta in Formazione, Coach, formatore e consulente per le organizzazioni. Da 10 anni collabora con l’Università Cattolica di Milano in progetti di ricerca e supporto alla didattica nel dipartimento di Psicologia. Impegnato nello studiare i processi organizzativi e valorizzare le qualità professionali e personali delle persone, Dario accompagna i professionisti in percorsi di allenamento per consolidare il proprio stile di Leadership, attraverso confronti, metodo, esperienze concrete e tanta passione.